IL SOGNO

L’avevo visto arrivare da lontano. Era alto, magro come uno stuzzicadenti e indossava un velo che gli copriva il viso, lasciando scoperti solo gli occhi, neri e profondi come galassie.

Avanzava con passo malfermo e quasi barcollante. Gli chiesi come era andato il viaggio, dalla Nigeria fin qui.  Parlava molto poco l’italiano, ma era abbastanza comprensibile.

Seduti ad un tavolo, gli offrii  da mangiare. Doveva aver fame dopo il lungo viaggio, ma non toccò cibo. Avevo la sensazione di conoscerlo già, così gli feci delle domande per chiarirmi i dubbi .

“Tu vivi nello stato di Borno in Nigeria, nei pressi del villaggio di Chibok, vero?”

Annuì con un cenno del capo . 

“Professi l’islamismo?”

“L’Islamismo. ” Confermò con voce rauca.

Questa seconda risposta mi tolse ogni dubbio: era il personaggio di un libro che avevo letto, un libro sull’organizzazione islamica terroristica di Boko Haram. L’argomento mi aveva particolarmente colpita e allora approfittai dell’occasione per approfondire. Rapire delle giovani ragazze e vietare loro l’istruzione  era un concetto troppo difficile da comprendere per me. A scuola noi parliamo di comprensione, di pace, e di istruzione come diritto per tutti.

“In che veste ti presenti nella società islamica?” Gli chiesi allora.

“Mi presento come difensore dell’ordine, sono un forte guerriero” Rispose soddisfatto, come se gli avessi fatto la domanda che stava aspettando da tempo. 

Dopodiché vidi solo buio. 

Iniziai a sentire da lontano una televisione accesa. Sentii le parole del  giornalista. “Durante la notte, i miliziani di Boko Haram hanno fatto irruzione in un dormitorio del collegio di Chibok  e hanno rapito oltre duecento ragazze di cui non si ha più traccia. Più tardi gli aggiornamenti …”

Ancora una volta non capivo. Perché rapire della ragazze che devono svolgere i loro esami? Perché portarle via dai loro cari separandole dalle amiche e togliendo loro la libertà di studiare a scuola? 

La mia mente di bambina proprio non riusciva a capire cosa volesse dire quell’uomo. Era una persona davvero strana. Non mi faceva paura se lo guardavo negli occhi, eppure sembrava che volesse proprio farmi  paura.

All’improvviso ancora buio. 

Subito mi vedo correre felice su un prato. Insieme a me ci sono tanti bambini della mia età. Vengono da ogni parte del mondo:  Sofie è francese, Fatimah è nigeriana, Adriano ha la mamma inglese, Ester ha origini marocchine, Santiago è colombiano. Siamo tutti compagni di classe.

Siamo tutti uguali visti con gli occhi di noi bambini. Il gioco ci unisce, anche la voglia di stare insieme ci accomuna, sicuramente non ci preoccupano le nostre diverse fedi religiose. Vogliamo solo divertirci. “Vero che non ci lasceremo mai?? Sìììììììì … gridiamo tutti in coro!!!” 

Ci uniamo in un girotondo e ridiamo a crepapelle. Forse c’è qualcuno che ha perso a nascondino ed ora gli spetta la penitenza … ma ridiamo, continuiamo a ridere e a divertirci.

A noi non interessa come siamo, come  vestiamo o come parliamo. A noi interessa solo volerci bene e non c’è la benché minima idea di farci del male l’un l’altro. Ciascuno di noi ha qualcosa da imparare dall’altro. Tutti siamo unici: chi è bravo a cantare, chi a ballare, chi a recitare… e chi a fare le piroette sull’erba.

Noi siamo un gruppo, siamo uniti proprio per aiutarci a vicenda, senza mai escludere nessuno. 

Vorrei che quello che siamo da bambini non si perdesse da adulti. Ma inizio a chiedermi se è veramente così, se anche il mondo degli adulti assomiglia al nostro. 

Ecco ora avevo una buona domanda da rivolgere alla mia insegnante di religione: ma se siamo tutti uguali perché gli adulti parlano di guerra, di discriminazione e non di libertà e amicizia per tutti?

Poi ancora buio. 

All’improvviso apro gli occhi. Sono nel mio letto. Mi alzo di soprassalto. Non c’è nessuno. La mamma è già scesa in cucina a fare il caffè.

Guardo di fianco sul comodino. Accanto alla tazza della camomilla, c’è il libro che ho appena terminato di leggere. E’ lì aperto sull’ultima pagina. Lo prendo e inizio a sfogliarlo soffermandomi su alcune frasi  immaginandole come disegni: una scuola che brucia, le ragazze costrette a salire sui camion, l’oscurità della foresta di Sambisa, la tristezza dei volti dei genitori. Ho sottolineato alcune parole di cui non conosco il significato. Dovrò cercarle sul dizionario. Ma ci sono anche tante frasi chiare che mi suscitano rabbia, tristezza, sofferenza per tutti coloro che hanno subito azioni disumane.

Mi sento un po’ strana: solo ora capisco che è stato solo un sogno. I personaggi sognati sono tutti usciti dalle pagine del libro. Vorrei che il racconto non fosse realtà.